Prima della decifrazione della scrittura micenea, le uniche fonti di ricerca sul comportamento religioso risalente all'età del bronzo egea erano di natura archeologico-iconografica. Dopo la decifrazione, i testi hanno restituito i nomi delle divinità, confermando l’ipotesi di un’origine micenea della religione greca; tuttavia, nessuna delle divinità greche, pur riconoscibili nei nomi in Lineare B, risulta chiaramente individuabile nelle caratteristiche o negli atteggiamenti propri delle raffigurazioni micenee, rendendo erroneo un collegamento automatico tra immagini e testi1. Di qui la necessità di trattare i due tipi di fonti in maniera distinta, cercando, in un secondo momento, eventuali collegamenti tra loro. Riguardo alle fonti non testuali, occorre innanzitutto stabilire dei criteri per ricondurre evidenze archeologiche o iconografiche ad una sfera cultuale: pertanto,
diviene necessario individuare almeno un elemento che, ovunque si trovi, conferisca valore religioso a tutto ciò cui è associato; logicamente, risulta difficile non considerare arbitraria l'individuazione di tale elemento, data la difficoltà di
considerare l'esistenza di tracce “inequivocabili” di un comportamento religioso. Tuttavia, elementi chiave si possono individuare in contesti che mostrano azioni significative non dettate da scopi pratici: seppellire i morti è un’usanza dettata
certamente da un fine pratico, poiché dovuta a motivi igienici; ma quando l’uomo del paleolitico inizia a seppellire il morto lasciando al suo lato oggetti particolari, la dimensione utilitaria scompare e lascia il posto a quella religiosa. Attraverso l’applicazione dello stesso principio, si è giunti in passato ad interpretare determinati reperti provenienti dal mondo egeo come simboli cultuali. L'intervento presenta una serie di esempi, riguardanti diversi contesti archeologici egei, con il fine di mostrare i casi in cui sia possibile collegare alla
sfera cultuale particolari dati.